Poche immagini possono adattarsi meglio di quella del germoglio di una pianta esile ma resistente come il giunco alla musica di Federico Durand, tanto delicata quanto dotata di ben definiti tratti di un naturalismo sonoro che trova la propria metafora nella manifestazione improvvisa di un’ispirazione.
Nel caso del suo ultimo lavoro solista intitolato appunto “La Niña Junco”, il motore della creatività è stato il ritrovamento da parte dell’artista argentino di un vecchio synth, il primo sul quale aveva cominciato a condurre le proprie esplorazioni sulle componenti organiche di minute particelle sonore. Proiettato indietro nel tempo, nel suo rifugio a contatto con la natura, tra le valli dell’Argentina centrale, Durand ha creato in presa diretta, nel volgere di appena un paio di giorni, i nove concisi brani che formano “La Niña Junco” e ne recano l’inconfondibile tocco delicato.
Soltanto a tratti caratterizzate da pulsazioni giocose, evidentemente determinate proprio dalla strumentazione ritrovata, le composizioni di Durand pennellano un microcosmo di equilibri fragili ma perfetti tra impulsi giustapposti in brevi loop che generano risonanze i cui vuoti sono riempiti da un pulviscolo tanto impalpabile quando decisivo nel trasmettere sensazioni di immediata spontaneità creativa. Pur non essendo direttamente connesso a un’idea di fondo proveniente dall’ambiente naturale, come invece molte opere di Durand, “La Niña Junco” si inserisce a pieno titolo nel suo ecosistema sonoro, colto nell’occasione nell’unicità della sua relazione tra individuo, tempo e ambiente.
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Muchas gracias Raffaello Russo y Music Won't Save You for your heartfelt listening! F.